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NO NATURAL DISASTERS

L’UNDRR (l’agenzia ONU per la riduzione del rischio disastro) sta lanciando una nuova fase della campagna #NoNaturalDisasters , lanciata a giugno 2018, con la pubblicazione di una nuova guida per gli operatori del settore umanitario, dell’emergency management e di tutti quelli collegati a prevenzione, gestione e risoluzione delle situazioni a rischio disastro.

Una guida utile per chiunque, in realtà, su come sia prioritario cambiare il linguaggio. Colpisce che questa necessità provenga dalla maggiore autorità istituzionale in questo campo: “Il nostro obiettivo è semplice: informare ed educare le persone e/o organizzazioni (spesso in posizioni di privilegio) all’interno del settore del rischio di catastrofi che l’uso di naturale per descrivere le catastrofi non è corretto. Questa campagna mira a fermare decenni di utilizzo di una terminologia errata e ad evidenziare le implicazioni dell’uso di tale termine.” Un concetto che non lascia spazio a dubbi, che i movimenti socio-ambientali e le organizzazioni di base, impegnate sul campo, stanno affermando da molti anni, viene istituzionalizzato.

Per chi non è del settore, è bene sottolineare che mentre un fenomeno può ritenersi ‘naturale’ nel suo manifestarsi (come un terremoto o un evento meteorologico), le cause soggiacenti e le dinamiche che si innescano al suo impatto, che conducono a quello che tecnicamente si chiama ‘disastro’, sono dovute alle azioni umane e alle scelte che hanno reso o mantenuto luoghi e comunità vulnerabili.

“In effetti, l’idea che le catastrofi non siano naturali e di fatto siano causate dalle decisioni umane nella pianificazione, nella politica e in altre azioni della società è stata discussa, considerata e approfondita per decenni”, si legge, richiamando il testo di Nicole Ball, The myth of natural disasters, del 1975.

Le parole creano la realtà, la sua percezione e condiziona l’atteggiamento con cui viene compresa e affrontata. Ristabilire la correttezza terminologica significa ribaltare la prospettiva da cui si guarda a ciò che succede e intervenire da una comprensione corretta dei fenomeni. Questo è quanto mai fondamentale se si parla di sicurezza, salute e sopravvivenza ad un evento estremo (o alla somma di eventi rischiosi). Ancora di più se si è chiamati ad adottare misure di prevenzione e preparazione per attutire gli impatti.

“Quel che è peggio, l’uso di naturale per descrivere i disastri induce le persone a pensare che i risultati devastanti siano inevitabili, fuori dal nostro controllo e semplicemente parte di un processo naturale.” I pericoli, gli hazards come terremoti, uragani, tsunami, siccità, pandemie, ecc. saranno sempre più frequenti, date le sinottiche climatologiche, ma l’impatto che avranno potrà essere una catastrofe oppure no. L’esito non è affatto scontato.

L’intento ambizioso di questa campagna è quello di cambiare la narrazione, non solo per gli addetti ai lavori, ma attraverso pubblicazioni e social media, anche nel sentire comune, aiutando a diffondere una nuova consapevolezza sulle responsabilità dirette delle politiche nelle dinamiche di disastro: “Il rafforzamento di quella espressione [naturale] attraverso conversazioni quotidiane, e-mail, presentazioni e altre comunicazioni non riflette il fatto che il disastro (ad esempio l’impatto dell’hazard) non sia naturale e sia invece causato da decisioni antropogeniche attraverso pianificazione, politiche e ricerca”.

Ridurre i rischi significa ridurre la vulnerabilità di territori, città e tessuti sociali, attraverso azioni combinate hardware e software. Tra queste ultime, quelle che riguardano l’empowerment sociale, la narrazione, gli apporti culturali, ambiti in cui il linguaggio corretto è essenziale.

Un contributo efficace sull’argomento del Professor Jason von Meding in questa videointervista: When disasters are beyond natural